Se mi chiedessero per quale motivo sarebbe opportuno chiudere la corte di cassazione, visto che crea più problemi di quanti ne risolve, porterei come argomento la sentenza che segue. Esempio di totale incapacità di argomentare in base a ciò che ha scritto la legge ed alla realtà dei fatti.
Il caso è quello di un sorvegliato speciale a cui il questore aveva imposto il divieto di detenere armi e che è stato trovato in possesso di una carabina ad aria compressa liberalizzata. Lo stesso è stato quindi condannato per aver violato le prescrizioni impostegli.
Che una carabina ad aria compressa liberalizzata rientri fra le armi proprie è una bufala colossale che non può essere superata arrampicandosi sugli specchi e cucendo frasi non pertinenti di vecchie sentenze, egualmente non pertinenti. Il diritto si deve trovare nelle norme di legge e non nei pacchi di carta vecchia degli uffici giudiziari. Ovvio però che un giudice le norme di legge dovrebbe conoscerle, altrimenti non può essere né un giurista né un giudice.
Perché sia una bufala colossale è presto detto.
È ridicolo addurre come argomento che la legge stessa questi oggetti li chiama armi. La parola armi è sempre stata usata in senso generico, tanto che fino al decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 204 si parlava ancora di armi giocattolo, categoria in cui rientravano tutti i simulacri di armi, e cioè anche oggetti totalmente innocui; un giocattolo di plastica per bambino era un'arma giocattolo. Detto decreto ha stabilito che non si potesse più parlare di armi giocattolo ma solo di strumenti riproducenti armi. E da allora in poi legislatore è stato attento ad usare la parola strumento anche in relazione a quelle che una volta erano chiamate armi giocattolo, quali gli strumenti paintball che possono avere potenza doppia a quella stabilita per le armi ad aria compressa liberalizzata.
Quindi è fuor di dubbio che attualmente le armi ad aria compressa liberalizzata sono degli strumenti sportivi e non delle armi proprie, in quanto essi non sono assolutamente destinati ad offendere ed in quanto, per legge, a loro capacità offensiva è ridotta; vale a dire che per il legislatore, non solo non sono destinate ad offendere, ma non sono neppure capaci di offendere se non in modo limitato (cosa che può fare anche un dito in un occhio!).
Ma evidentemente per la cassazione la legge del 2010 è troppo recente per essere conosciuta!
Il peggio è che la cassazione ignora persino leggi più vecchie.
La Legge 8 luglio 1998 n. 230, modificata il 2 agosto 2007 n. 130, sulla obiezione di coscienza, dopo aver imposto il divieto di detenzione di armi agli obiettori, ha precisano che il divieto non concerne le armi e i materiali esplodenti privi di attitudine a recare offesa alle persone ovvero non dotati di significativa capacità offensiva. L'interpretazione pacifica di queste norme, in base ai lavori parlamentari e alla logica, è sempre stata che gli obiettori possono detenere armi ad aria compressa liberalizzate. La norma era stata scritta proprio per consentire ciò, dopo le proteste degli interessati sportivi.
Non vado oltre per non offendere l'intelligenza dei non giuristi. Quando si legge: "un fucile ad aria compressa, benché la sua energia cinetica sia inferiore al limite di legge, ha la unica intrinseca finalità di essere utilizzato a fine offensivo" si capisce che non si è di fronte a menti logiche, ma ad un muro di pietra eretto per tener lontana la giustizia dalle aule giudiziarie. È evidente che i giudici ignorano che in tutti i poligoni sportivi del TSN, il tiro con ad aria compressa viene svolto usando carabine liberalizzate perché esse sono il tipico strumento sportivo usato per tale tipo di sport. Come ci si può inventare, dal nulla, che questi oggetti sono finalizzati a ledere e quindi, anche ad uccidere?
Va detto comunque che tribunale di Marsala e la corte di appello di Palermo, con i relativi pubblici ministeri, sono sempre stati concordi sul punto in esame!
15 dicembre 2021
Ecco il testo della sentenza CASS. PEN, SEZ. I, UD. 10 SETTEMBRE 2021 nr 38343
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Palermo confermava quella del Tribunale di Marsala di condanna di G.S. alla pena di mesi otto e giorni quindici di reclusione per il delitto di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75. Secondo l'imputazione, G. , sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, non si era presentato in due occasioni all'ufficio di polizia giudiziaria; inoltre, come accertato a seguito di una perquisizione domiciliare, egli deteneva una carabina ad aria compressa. La Corte rilevava che all'imputato erano contestate violazioni di precetti specifici e non generici. Non veniva ritenuta attendibile la giustificazione addotta per la mancata presentazione il 4/8/2014: comunque, essendo G. consapevole di non potersi presentare quel giorno, avrebbe dovuto avvisare gli organi preposti al controllo e non, piuttosto, farsi rilasciare un certificato medico alcuni giorni dopo. Inoltre, non veniva ritenuta giustificata la detenzione della carabina ad aria compressa anche se l'acquisto era precedente alla data di sottoposizione alla misura di prevenzione: non si trattava di arma giocattolo, pur potendo essere acquistata liberamente, avendo una potenza inferiore a 7,5 joules. Venivano respinti gli ulteriori motivi di appello concernenti la misura della pena, già fissata nel minimo edittale. 2. Ricorre per cassazione il difensore di G.S.V. , deducendo violazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 8, comma 7. La carabina ad aria compressa detenuta dall'imputato non poteva essere ritenuta arma comune da sparo, cosicché, in relazione alla sua detenzione, non sussisteva la violazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 2. La carabina è in libera vendita e per essa non è prevista nessuna autorizzazione ai fini della detenzione. In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 2, con riferimento alla violazione dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Il ricorrente richiama il principio di offensività e la necessità di selezionare tra le condotte quelle penalmente rilevanti in quanto sintomatiche della pericolosità sociale del soggetto. Nel caso in esame, la mancata presentazione, del tutto incolpevole, non dimostrava alcuna pericolosità del soggetto: era assente, quindi, l'elemento soggettivo del reato contestato. Il ricorrente conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 1. D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 8, comma 4, dispone che, in sede di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, il tribunale prescriva al soggetto, tra l'altro, di "non detenere e non portare armi". Il primo motivo di ricorso individua come norma di riferimento per qualificare un determinato oggetto come arma, per la quale vige il divieto di detenzione, la L. 110 del 1975, art. 2, comma 3, che contiene la definizione delle armi e delle munizioni comuni da sparo, in particolare comprendendo nelle armi comuni da sparo "le armi ad aria compressa i cui proiettili erogano un'energia cinetica superiore a 7,5 joule". Poiché la carabina rinvenuta nel corso della perquisizione eroga un'energia cinetica inferiore alla soglia di legge, il ricorrente ne deduce che la stessa non possa essere qualificata come "arma", anche perché si tratta di oggetto in libera vendita e per la cui detenzione non occorre alcuna autorizzazione. Si tratta di impostazione errata, mentre è esatta la valutazione della Corte
territoriale che, dopo avere dato atto che quella sequestrata non era un'arma giocattolo, la ritiene facente parte delle "armi" che il sottoposto alla misura di prevenzione non può detenere in forza della specifica prescrizione di cui si è detto. In effetti, poiché la misura di prevenzione è finalizzata a contrastare la pericolosità sociale attuale del soggetto, è del tutto coerente una disciplina differente, con specifico riferimento alle armi, rispetto alle persone non sottoposte a tale misura: quindi, mentre la generalità delle persone può acquistare e detenere armi ad aria compressa con energia cinetica inferiore a 7,5 joule senza alcuna autorizzazione, la pericolosità sociale del sottoposto giustifica un divieto nei suoi confronti, non trattandosi, appunto di un'arma giocattolo, priva di assoluta capacità offensiva. D'altro canto, anche sotto il profilo strettamente interpretativo la pretesa di escludere la natura di arma alla carabina sequestrata sulla base del richiamo alla L. 110 cit., art. 2, non è convincente: quella norma, infatti, non contiene la definizione di "arma", ma fornisce i criteri per ritenere o meno una di esse "arma comune da sparo"; ma, appunto, il divieto posto dal D.Lgs. n. 159 cit., art. 8, riguarda la detenzione di "armi" e non soltanto di "armi comuni da sparo". Peraltro, si deve dare atto che la giurisprudenza di legittimità è ferma nell'affermare che, per la fattispecie criminosa di inosservanza degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, in riferimento alla violazione del divieto di detenere armi, il concetto di arma deve intendersi in senso restrittivo e limitato alle sole armi proprie (Sez. 1, Sentenza n. 1104 del 19/11/2009 Ud. (dep. 13/01/2010) Rv. 245939 - 01), così escludendo la sussistenza del delitto di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 2, nel caso di detenzione di arma impropria (Sez. 1, Sentenza n. 17877 del 01/03/2019 Ud. (dep. 30/04/2019) Rv. 275603 - 0): ma si tratta di distinzione resa necessaria dal fatto che le armi improprie, quando detenute nell'abitazione, non presentano la caratteristica intrinseca di essere utilizzabili per l'offesa alla persona, cosicché tale loro utilizzabilità può essere valutata solo in caso di porto fuori dall'abitazione (arg. L. n. 110 del 1975, ex art. 4). Un fucile ad aria compressa, al contrario, benché la sua energia cinetica sia inferiore al limite di legge, ha la unica intrinseca finalità di essere utilizzato a fine offensivo: non è, cioè, possibile ipotizzarne un uso differente. 2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. La costante giurisprudenza di legittimità insegna che integra il reato previsto dal D.Lgs. n. 159 del 2001, art. 75, la condotta di chi, contravvenendo agli obblighi della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, si presenta in ritardo all'autorità di pubblica sicurezza per apporre la firma sull'apposito registro (Sez. 5, Sentenza n. 13518 del 20/01/2015 Ud. (dep. 30/03/2015) Rv. 262895 - 01), principio che vale a fortiori per l'omessa presentazione: le condotte violatrici delle prescrizioni non possono essere selezionate sulla base del principio di offensività, in quanto il legislatore, che ha disposto l'applicazione delle misure alle persone socialmente pericolose per la sicurezza pubblica, ha preventivamente selezionato gli obblighi finalizzati a ridurre tale pericolosità non permettendo al giudice di distinguere, nel caso concreto, tra violazioni pericolose e violazioni non pericolose.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
15 dicembre 2021